Nel BLU

Non ho mai preso un aereo in vita mia…che vergogna.

Sono troppi anni che sto con un uomo disposto a sollevare i piedi da terra solo per fare le scale!

La sua paura di volare alla fine ha condizionato anche me, limitando le esplorazioni e i viaggi.

E non essendosi mai presentata l’occasione di viaggiare da sola o con qualche amica alla fine non l’ho mai fatto.

Ma ho avuto comunque modo di rifarmi il giorno in cui all’improvviso, senza dirlo a lui ovviamente, ho deciso che sarei salita su una mongolfiera.

Vista dall’esterno mi sembrava una cosa complessa e straordinaria, macchinosa.

Invece è stata un’esperienza naturale e serena.

Ricordo che mi trovavo nel cesto e mi guardavo intorno mentre il pilota passava da un angolo all’altro per sistemare le bombole e ad un certo punto, senza rumore alcuno, senza nessuno sbalzo o turbolenza, ho visto che il suolo stava cominciando lentamente ad allontanarsi.

Ci stavamo alzando, come un piuma in una brezza leggera.

Più su, più su, sempre più su.

C’è voluto il tempo di un attimo.

E mi sono ritrovata in cielo, immersa in un’aria fredda e frizzante che pizzicava le guance.

E intorno a me la mia terra, che fino ad allora conoscevo solo a metà, perché vista dall’alto è un’altra cosa.

È di più.

I campi, le case, i profili delle colline prima, e poi quelli delle montagne.

Quando ti trovi molto in alto ti sembra davvero di non muoverti, non ti accorgi delle correnti che in realtà ti stanno dominando.

Perché il pilota può salire e scendere, ma non può dominare il vento.

È l’aria che decide dove andrai.

È l’aria che decide chi sarai.

Perché da quel giorno un po’ la tua vita sarà cambiata, perché porterai sempre addosso, sulla pelle, il ricordo di quelle sensazioni.

Il ricordo di quel silenzio.

Solo il rumore del fuoco che sbuffa dentro il pallone e il suono dei tuoi pensieri, che lì, nel nulla intorno a te, diventano più vivi.

Scendere, lentamente come lo era stato salire, è stata un’esperienza altrettanto eccitante.

Sopra i boschi, spogliati dall’inverno ancora in corso, la nostra ombra.

Una sagoma grigia, sul grigio degli alberi.

E sotto di noi piccole macchie in movimento, i caprioli spaventati dalla nostra presenza, che correvano senza meta né destinazione, come schegge impazzite.

Ricordo di aver temuto per loro.

Alcuni si spingevano fino a raggiungere la strada asfaltata, a rischio della vita.

Ma non c’era modo di proteggerli, di evitare che si mettessero in pericolo o di risparmiare loro la paura.

Perché noi eravamo il gigante, enorme e colorato, noncurante di tutto intorno a sé.

Il padrone di tutto.

Siamo atterrati dopo un’ora di viaggio, oltre il fiume, tra gli sguardi attoniti degli abitanti della località dove siamo scesi.

È stata un’ora importante, indimenticabile.

Non ho mai preso un aereo in vita mia.

Però so cosa vuol dire volare.
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Quel giorno la decisione fu improvvisata e io non avevo con me la macchina fotografica.
allegate a questo post trovate mie fotografie di un'altra giornata, quella in cui ho visto il pallone più bello che mi sia mai capitato di vedere.

Era di un equipaggio belga e portava la scritta "Carpe Diem".

La sua sagoma elegante e i suoi colori sgargianti sono rimasti impressi nei miei occhi, come se ci avessi volato sopra.